UNA FINESTRA SUI NOSTRI SENSI
personale di Paolo Sciancalepore
Galleria d'Arte PONTE ROSSO
Milano
11 ottobre - 4 novembre 2007
presentazione in catalogo
Carlo Adelio Galimberti
Quando si osserva la produzione pittorica di Paolo Sciancalepore si è immediatamente sedotti dalla attenta e minuziosa tecnica di rappresentazione, che libera tutto il fascino dello spettacolo di un’indiscussa maestria del dipingere. È un’attrazione che Sciancalepore aiuta artificiosamente, dipingendo scenari e finestre che invitano il nostro sguardo a superare la prosaicità della riproduzione del quotidiano, per aprirsi ad una narrazione nuova che libera racconti inediti, che vogliono invitarci a riprendere il filo del senso delle cose che la nostra coercitiva ragione ha soffocato nello stretto ambito del significato. È questo d’altronde il compito della poesia, che nel suo etimo contiene appunto la liberazione di sensi nascosti, che Sciancalepore veste con l’ammaliante tessuto della pittura.
Guardando i suoi dipinti ci si sente avvolti da un meditativo silenzio. L’artista costruisce ambiti in cui riesce a far tacere il chiacchiericcio del mondo, sospingendoci fuori dai ritmi quotidiani, da quel susseguirsi di gesti, di ore e di giorni che spesso stenta a mostrarci il perché del loro incalzare, impedendo l’ascolto delle mille storie che ogni cosa custodisce e che Sciancalepore ci restituisce con la soavità del suo dipingere.
Un dipingere apparentemente realistico, se così vogliamo definire la riconoscibilità di ambienti e oggetti. Ma la riconoscibilità è subito sospinta verso territori spiazzanti, verso improbabili ambienti, per far in modo che ciascuno di noi si ponga finalmente domande, abbandonando le aride risposte della ragionevolezza, per liberarci verso l’affascinante interrogazione della realtà che, come diceva Lacan, è appunto irrappresentabile.
Ci piace immaginare che Sciancalepore apra la sua rassegna con l’opera Porta di mare, in cui l’apertura centrale sfonda la granitica certezza d’un muro che, anziché proteggere, soffoca la nostra visione. Così come Stasi suggerisce di salire quei gradini per superare l’ostacolo d’un guscio di riccio ridotto così da quell’aggressivo atteggiamento umano che chiede agli esseri cosa servano anziché cosa siano. E cosa fosse un riccio ce lo dice quella striscia di mare che sfida la prepotenza della costruzione, per liberare la sensazione dell’infinitezza dello spazio e della profondità di senso d’ogni vivente. E così via, in questo affascinante tragitto in cui si percorrono gli ambienti dove la nostra immaginazione viene delicatamente sollecitata e sospinta, affinché sedotta dal fascino pittorico, si alzi e si muti in riflessione e pensiero. Così come nell’opera Nous, l’artista ci invita a questo viaggio, disseminando nel cielo una serie innumerevole di conchiglie, che escono dalla loro comprensibile funzione per parlarci d’altro, per innalzare il nostro pensiero, per raccontarci l’inudubile, il non visto, il non pensato, e parlarci così di una natura non banale, colta per frammenti distribuiti in contesti improbabili, così come la Sibilla spargeva i messaggi degli Dei.
Gli Dei, appunto, così costantemente richiamati nelle titolazioni dei dipinti di Sciancalepore. Quegli Dei che abitavano il mito prima che la ragione spiegasse il mondo. Il mito che riusciva a mantenere quella rugosità intrigante delle vicende umane, che la piattezza della ragione distoglie dal fascino del chiaro-scuro, della luce e dell’ombra. Il mito, quel potente racconto che ci suggerisce un senso della vita inedito rispetto ai nostri codici, presentandoci un mondo incomprensibile per la concettualità contemporanea, ma denso di quella potenza creativa che ogni racconto custodisce e che ci regala una quantità infinita di sensazioni, tante quanto saranno quelle di coloro che vorranno disporsi al suo ascolto. Ed è in quest’emergere di sensazioni uniche, diverse da quelle suscitate in altri, che ciascuno di noi ha la possibilità di riconoscersi nella sua unicità, liberata dalla uniforme funzionalità spesso ripetitiva cui il vivere contemporaneo ci costringe. È quello che ci suggerisce La spiaggia di Teti, dove uno scoglio alberato, sottratto alle carezze delle onde, si posa su di un tavolo di tutti i giorni affinché il nostro sguardo si sollevi dalle incombenze quotidiane e si liberi verso purezze di spazi che si aprono in cieli di sogno.
Sono scenari rarefatti, vagamente surreali, in cui spicca l’assenza della figura umana. Un tempo l’arte veniva giudicata “superiore” quando ospitava la figura umana per racconti eroici, mitici o religiosi. Ma con la modernità si è riconosciuto che anche gli elementi non umani sono portatori di profondi valori. Noi infatti ci esprimiamo anche mostrando il nostro rapporto con l’ambiente e con i suoi prodotti, che possono essere eleganti o grossolani, burleschi o drammatici, strazianti o sereni: vestiti dalla maestria della pittura di Sciancalepore ci sono offerti come puri stati d’animo.
È questo un’intrigante inganno dell’artista che, paradossalmente, fa così della pittura astratta, se vogliamo così dar retta al realista Courbet per il quale “astratto” è quello che si immagina, diverso da quello che vedono i nostri occhi.
È quindi un mondo dove visionarietà, illusione, sogno ed incanto, si mescolano alla narrazione sapiente del mito, che ancora descrive il cammino degli uomini che pare appunto agire nell’inconsapevolezza della follia degli Dei. E tutto è accompagnato dallo splendore delle opere di questa intrigante raccolta dei lavori di Sciancalepore. Un artista che ha sciolto sulle superfici dipinte un racconto che dice di eventi, uomini e idee, e che l’evocante mitologia che sale dalla sua terra pugliese, che ha conosciuto la sapienza greca, ha saputo suggerirgli di tradurre in quella maniera realistica che disegna persuasivi oggetti, ambienti e concetti. È come se la pittura di Sciancalepore che felicemente sta in mezzo tra realtà e immaginazione abbia voluto dire a tutti noi una delle verità sull’esistente, nascondendola, per dirla con Dante, sotto le spoglie d’una splendida menzogna.
Carlo Adelio Galimberti